Sono molto
fiera di essere membro adottivo della famiglia Black Eagle dei Crow, tribù di
nativi americani del Montana. E sono fiera del mio nome in lingua originale,
Baa Kuuxsheesh, che ha segnato una nuova tappa della mia vita e che significa
“Aiuta gli altri”. Molti già lo sanno, ma vorrei ricordarlo e dirlo sempre ad
alta voce. La fratellanza è sacra. Ora posso annunciare la mia adozione presso
un altro popolo indigeno: quello dei Boscimani del Kalahari, e nello specifico
della tribù San Naro. Il mio nome è Nxuwa. E’ un nome che deriva da una pianta,
esattamente un tubero, che il popolo boscimane porta con sè nel deserto per
combattere la sete, la fame e la stanchezza. Una pianta davvero preziosa.
La storia
dei Boscimani è lunga e difficile e, come in tanti casi, sono le risorse delle
terre ancestrali hanno scatenato l’avidità dell’Uomo Bianco e determinato la
perdita dei loro diritti. Per un popolo indigeno, la perdita del proprio
diritto alla terra porta con sé la perdita delle tradizioni, della cultura,
della identità, e determina spesso l’inizio della parabola di discesa verso
l’estinzione. Ne sanno qualcosa proprio i miei fratelli Nativi Americani. A
volte è il petrolio, a volte il legname delle foreste, a volte l’oro, la
bauxite; nel caso dei fratelli boscimani a scatenare la cupidigia degli
europei sono stati i diamanti. Il popolo San è stato allontanato dalle
proprie terre, messo in campi di “reinsediamento”, gli è stato proibito di
tornare nel deserto del Kalahari. Che, per quanto arido e non accogliente, per
i Boscimani è “casa”. Ora, questa mia adozione presso i Boscimani non è solo un
fiore all’occhiello per chi come me protegge e rispetta i popoli indigeni: è
una responsabilità. La responsabilità di divulgare i loro problemi, di essere
all’altezza della fratellanza, di fare del mio meglio per aiutare. Ma
poi, essere una attivista per i diritti umani dei popoli indigeni per me non
significa solo lottare per le minoranze etniche e per i popoli in via di
estinzione: per me significa lottare a favore di chiunque venga discriminato
perché debole e diverso. E oggi, in questa situazione, ci siamo un po’ tutti. Davanti allo strapotere delle
multinazionali, del consumismo, della globalizzazione, siamo tutti Davide
contro Golia.